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Un problema emergente di interesse medico multidisciplinare, sconosciuto fino all’ultimo decennio del Novecento, che negli ultimi anni ha avuto forte risonanza anche nel mondo odontoiatrico è quello dell’osteonecrosi delle ossa mascellari. Tale fenomeno rappresenta una potenziale reazione avversa ai farmaci appartenenti alla classe dei bifosfonati contenenti azoto (aminobifosfonati). Sebbene le attuali evidenze scientifiche non sostengano l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra l’assunzione del farmaco e la comparsa della malattia, numerosi studi epidemiologici e sperimentali confermano la forte associazione tra la terapia farmacologica con bifosfonati IV (soluzione iniettabile) e lo sviluppo dell’osteonecreosi dei mascellari. I bifosfonati IV sono dunque considerati il maggior fattore di rischio per l’insorgenza della malattia e l’incidenza cumulativa è stimata tra lo 0.8% e il 12%. Il rischio complessivo di sviluppare tale patologia per i pazienti sottoposti a terapia con aminobifosfonati non è tutt’oggi ben definito; tuttavia è possibile affermare, sulla base di studi epidemiologici ed osservazioni cliniche, che il rischio è più alto per i pazienti ai quali il farmaco viene somministrato per via endovenosa piuttosto che per via orale. I criteri diagnostici introdotti dall’ American Association of Oral and Maxillofacial Surgeons per l’osteonecrosi dei mascellari associata ai bifosfonati prevedono la concomitanza di tre fattori: l’attuale o pregresso trattamento col farmaco, l’esposizione di tessuto osseo nel distretto maxillofacciale per più di otto settimane senza anamnesi positiva per terapia radiante delle ossa mascellari.
AMINOBIFOSFONATI
I bifosfonati ed in particolare gli aminobifosfonati sono farmaci ad alta affinità per il calcio circolante ed il calcio presente sulla superficie ossea che permangono per molti anni nel tessuto osseo. Essi sono potenti inibitori del riassorbimento osseo e del rimodellamento osseo in quanto bloccano il differenziamento e l’attività enzimatica (degradazione del collagene) degli osteoclasti. Ad elevate concentrazioni sono in grado di indurre l’apoptosi degli osteoclasti.
INDICAZIONI TERAPEUTICHE:
Alcuni aminobifosfonati somministrati a determinate concentrazioni sono in grado di inibire l’angiogenesi e di avere dunque un effetto antitumorale diretto.
FATTORI DI RISCHIO PER LA COMPARSA DELL’OSTEONECROSI:
FATTORI DI RISCHIO DIPENDENTI DAL FARMACO
Nome commerciale | Principio attivo | Potenza relativa |
Fosamax | Alendronato | 1.000 |
Actonel | Risendronato | 5.000 |
Boniva | Ibandronato | 10.000 |
Aredia | Pamindronato | 100 |
Zometa | Acido zolendrico | 100.000 |
Reclast | Acido zolendrico | 100.000 |
FATTORI DI RISCHIO LOCALI
FATTORI DI RISCHIO DEMOGRAFICI E SISTEMICI
FATTORI DI RISCHIO GENETICI
Il polimorfismo di un singolo nucleotide del gene 2C del citocromo P450 è associato ad aumento del rischio di osteonecrosi nei pazienti ammalati di mieloma multiplo trattati con bifosfonati IV.
DIAGNOSI:
DIAGNOSI CLINICA DI OSTEONECROSI
Gli aspetti clinici dell’osteonecrosi dei mascellari sono dati dall’esposizione di tessuto osseo non vitale di colorito bianco-giallastro circondato da mucosa infiammata ed edematosa nel cavo orale che può essere preannunciata dalla sensazione imprecisa di dolore o di disagio nella zona coinvolta. In assenza di evidenze cliniche e radiografiche di reazioni infiammatorie, metaboliche, cistiche o neoplastiche, elemento differenziale di diagnosi precoce è appunto la sensazione di dolore riferito dai pazienti, sottoposti, anche in tempi non recenti, a terapia con bifosfonati, in corrispondenza di elementi dentari o di zone edentule del mascellari. L’osteonecrosi si manifesta generalmente in conseguenza di manovre traumatiche a carico dell’osso (es. estrazioni dentarie) sebbene siano stati osservati e documentati casi di insorgenza spontanea (40%) soprattutto in corrispondenza di tori palatini e mandibolari. La sede più frequentemente colpita è la mandibola. Il mascellare superiore può essere tuttavia interessato ed alcuni pazienti possono presentare un quadro di osteonecrosi multifocale delle ossa mascellari. Prima di arrivare alla necrosi ossea sono identificabili segni e sintomi tipici di una qualsiasi infezione odontogena (dolore, edema ed ulcerazione delle mucose, mobilità dentaria) che possono dunque allertare lo specialista ed indirizzarlo verso una diagnosi precoce. Nello stadio avanzato della patologia si può osservare la presenza di foci infiammatori ed infettivi (osteomielite suppurativa), fratture patologiche, fistole cutanee, fistole antrali orali e nasali, che contribuiscono ad aggravare il quadro sintomatologico.
STADIAZIONE CLINICA
Stadio | Descrizione |
A rischio | Assenza di evidenze cliniche e sintomi in pazienti trattati con bifosfonati (via orale, endovenosa o intramuscolare) |
Stadio 0 | Assenza di evidenze cliniche e presenza di sintomi aspecifici e reperti clinici o radiografici sospetti |
Stadio 1 | Presenza di esposizione ossea in assenza di sintomi |
Stadio 2 | Presenza di esposizione ossea associata a dolore, infiammazione o infezione dei tessuti |
Stadio 3 | Presenza di esposizione ossea associata a dolore, infiammazione o infezione dei tessuti e presenza di uno o più dei seguenti reperti clinici: fratture patologiche dell’osso alveolare, fistole extraorali, comunicazione antrale oro-nasale, osteolisi del bordo inferiore della mandibola o del pavimento del seno mascellare |
DIAGNOSI RADIOGRAFICA
Negli stadi iniziali dell’osteonecrosi possono osservarsi lievi o insignificanti cambiamenti dell’architettura ossea all’esame radiografico panoramico o endorale periapicale. Gli effetti della terapia farmacologica conducono ad un incremento sistemico della densità minerale ossea che coinvolge le ossa mascellari in modo uniforme. E’ pertanto impossibile rilevare radiograficamente un aumento della radiopacità di singoli segmenti ossei, come accade nel caso delle più comuni patologie ad insorgenza focale. Col procedere della malattia e l’esposizione dell’osso nel cavo orale, la superinfezione batterica e i processi di demineralizzazione locale dell’osso possono generare un caratteristico aspetto radiografico discontinuo dato dall’alternanza di zone radiopache e zone radiotrasparenti che può sollevare il sospetto di un processo osteolitico in atto (osteomielite, metastasi ossee, linfoma dell’osso). Negli stadi avanzati della malattia il processo di osteonecrosi può portare alla formazione di sequestri ossei riconoscibili radiograficamente per il tipico aspetto sclerotico o screziato di un segmento osseo circondato da un alone di radiotrasparenza. Due importanti elementi di diagnosi radiografica precoce, che, se positivi, dovrebbero allertare l’odontoiatra nei confronti di un crescente rischio di osteonecrosi non ancora riscontrabile clinicamente, sono il reperto di un alveolo che in seguito ad estrazione dentale non si riempie di osso nei tempi previsti e di un’evidente lamina dura residua.
DIAGNOSI ISTOPATOLOGICA
Osso necrotico privo di osteociti e di osteoclasti circondato da tessuto di granulazione con o senza raccolte ascessuali. Non sono mai state ritrovate metastasi in corrispondenza dell’osso osteonecrotico e dei tessuti molli circostanti ad eccezione del mieloma multiplo che però è considerato un tumore maligno primitivo dell’osso e non una lesione metastatica.
DIAGNOSI STRUMENTALE
Lo studio dei markers biochimici del turnover osseo consente di valutare con un metodo non invasivo sia le alterazioni del metabolismo osseo e la risposta del paziente alla terapia farmacologica che la variazione di concentrazione dei markers stessi in caso di sospensione del farmaco. Essi consistono in:
Altri markers del rissorbimento osseo, come la piridinolina urica, l’idrossiprolina urinaria, la fosfatasi acida tartrato-resistente del siero, non sono osso-specifici in quanto reperibili in tessuti diversi dall’osso e pertanto considerati indicatori poco attendibili del metabolismo osseo. I markers del riassorbimento osseo vanno impiegati con grande interesse nel monitoraggio dei pazienti sottoposti alla terapia con aminobifosfonati in quanto validi indicatori sia dell’efficacia della terapia che del rischio di osteonecrosi dei mascellari.
GESTIONE DEI PAZIENTI TRATTATI CON AMINOBIFOSFONATI
PREVENZIONE DELL’OSTEONECROSI
Premesso che l’esposizione ai bifosfonati e le procedure dentoalveolari rappresentano i due maggiori fattori di rischio per lo sviluppo dell’osteonecrosi dei mascellari, una forma di prevenzione della patologia può essere quella di sottoporre i pazienti ad un accurato esame orale ed extra orale comprensivo di indagine radiografica e di concentrare l’esecuzione di tutti i trattamenti odontoiatrici necessari per ripristinare la salute orale, dei tessuti molli e duri, ad un’epoca antecedente all’inizio della terapia farmacologica. Recenti studi hanno infatti dimostrato che tale approccio terapeutico può efficacemente ridurre ma non eliminare il rischio di osteonecrosi. Nel caso di terapie con bifosfonati somministrati per via orale, qualora le condizioni di salute generale lo consentissero ed il paziente necessitasse di interventi chirurgici dentoalveolari, si potrebbe ipotizzare la sospensione del farmaco da tre mesi prima a tre mesi dopo il trattamento odontoiatrico allo scopo di ridurre il rischio di osteonecrosi. Sebbene l’efficacia della sospensione del farmaco (drug holiday) sia ancora da dimostrare per mezzo di studi prospettici a lungo termine, i risultati relativi allo studio delle fluttuazioni della funzione osteoclastica relativamente alla somministrazione di bifosfonati hanno dunque suggerito la possibilità di considerare la validità di tale approccio.
OBIETTIVI
STRATEGIE TERAPEUTICHE
PAZIENTI CHE DEVONO INIZIARE BIFOSFONATI IV
Lo scopo della terapia è di ridurre il rischio di osteonecrosi delle ossa mascellari. Se le condizioni generali di salute del paziente lo consentono, l’inizio della terapia farmacologica andrebbe rimandato fino a quando lo stato di salute orale (di tutti gli elementi dentari presenti, dei tessuti parodontali e dei tessuti molli) non raggiunga risultati ottimali. I denti non salvabili e quelli con prognosi incerta andrebbero estratti. Nel caso di estrazioni dentarie, sarebbe preferibile attendere la riepitelizzazione del sito estrattivo (14-21 giorni) o il raggiungimento di un’ adeguata guarigione ossea prima di cominciare la terapia farmacologica. I pazienti portatori di protesi totale o parziale andrebbero esaminati attentamente per rilevare l’eventuale presenza di zone mucose sottoposte a traumatismo ed intervenire per ridurre tali sollecitazioni. Profilassi, controllo della carie, odontoiatria conservativa e motivazione del paziente sono strumenti fondamentali per mantenere la salute degli elementi dentari rimanenti.
PAZIENTI IN TERAPIA CON BIFOSFONATI ORALI IN ASSENZA DI SINTOMI
La chirurgia dentoalveolare può essere praticata a questi pazienti che devono in maniera categorica essere informati del rischio, seppur basso, di sviluppare un’osteonecrosi dei mascellari. I pazienti appartenenti a questo gruppo presentano un rischio molto inferiore di sviluppare osteonecrosi dei mascellari, rispetto a quelli in terapia con bifosfonati IV e, in caso di malattia, sono colpiti da lesioni necrotiche meno estese e rispondono prontamente alla terapia stadio-specifica. Lo studio dei markers del turnover osseo e la temporanea sospensione della terapia farmacologica, possono essere di ulteriore aiuto nella fase decisionale. In questi pazienti l’osteonecrosi può manifestarsi spontaneamente o in seguito a minimo trauma ed il rischio tende ad aumentare nei casi di terapie con bifosfonati orali che superano i tre anni. Le linee guida per la gestione di questi pazienti prevedono due diverse strategie terapeutiche:
PAZIENTI IN TERAPIA CON BIFOSFONATI IV IN ASSENZA DI SINTOMI
Il mantenimento di un’adeguato regime di igiene orale e le cure odontoiatriche non invasive rappresentano il miglior compromesso per la prevenzione di patologie orali e parodontali che potrebbero poi richiedere un intervento chirurgico. Tutte le manovre che possono direttamente traumatizzare l’osso andrebbero evitate. I denti non restaurabili andrebbero decoronati e devitalizzati. Interventi di implantologia andrebbero evitati.
PAZIENTI IN TERAPIA CON BIFOSFONATI ORALI CON OSTEONECROSI
L’osteonecrosi relativa ai bifosfonati orali è una reazione avversa meno comune e meno severa capace di risoluzione spontanea delle lesioni nel 50% dei casi trattati con protocollo di sospensione della terapia farmacologica (drug holiday) associato al test del telopeptide C-terminale del collagene tipo I (CTX) prelevato dal siero. Tale test misura la soppressione del turnover osseo saggiando un frammento del collagene tipo I (principale componente della matrice ossea organica) costituito da otto aminoacidi che viene tagliato dalla collagenasi osteoclastica nella fase di riassorbimento osseo. Esso pertanto rappresenta un indice di funzione osteoclastica e del rimodellamento osseo. I valori normali sono superiori a 350 pg/mL. Quantità inferiori a 100 pg/mL sono indicative di rischio elevato, quantità comprese tra 100 e 150 pg/mL sono indicative di rischio moderato, quantità superiori a 150 pg/mL sono indicative di assenza di rischio o di basso rischio. Il test CTX ha esclusiva validità per i pazienti non oncologici e per quelli oncologici privi di metastasi ossee e non risulta attendibile se praticato su pazienti affetti da malattia reumatica sottoposti a terapie con metatrexato, prednisone o raloxifene. Il restante 50% dei casi necessita di rimozione del tessuto necrotico.
PAZIENTI IN TERAPIA CON BIFOSFONATI IV CON OSTEONECROSI
L’osteonecrosi dei mascellari relativa all’assunzione di bifosfonati IV (somministrazione endovenosa) è una reazione avversa più comune, di estensione maggiore, con maggiore perdita di tessuti molli e più difficile da trattare rispetto all’osteonecrosi relativa all’assunzione di bifosfonati orali. Ciò è dovuto alla maggiore potenza dei bifosfonati IV che legano più rapidamente il calcio e si accumulano in misura maggiore nel tessuto osseo. Inoltre va considerato che i soggetti trattati con questi farmaci sono pazienti oncologici sottoposti anche a terapie corticosteroidee e chemioterapiche che potenziano la vulnerabilità del tessuto osseo all’azione dei bifosfonati. Alcuni casi di osteonecrosi sono stati trattati con successo con approccio non chirurgico ed inseriti in un protocollo che prevede cicli di terapia antibiotica sistemica e antisettica locale in grado di mantenere stabile l’esposizione ossea ed ottenere un buon controllo del dolore. Tuttavia taluni casi, dal 3 al 10 %, refrattari alla gestione non chirurgica o quelli soggetti a fratture patologiche, richiedono necessariamente la rimozione chirurgica dell’osso necrotico. In generale l’approccio chirurgico andrebbe riservato ai pazienti appartenenti al terzo stadio clinico cioè quelli che presentano esposizione ossea, sintomatologia dolorosa, fenomeni infiammatori dei tessuti coinvolti e superinfezione batterica o nei casi in cui siano bene definiti i limiti del sequestro osseo. La rimozione chirurgica dei segmenti di osso necrotico deve essere eseguita sotto adeguata copertura antibiotica e nel totale rispetto dei tessuti sani circostanti la lesione.
STADIAZIONE CLINICA E STRATEGIE TERAPEUTICHE
Stadio clinico | Strategie terapeutiche |
A rischio | Nessun trattamento indicato |
Stadio 0 | Gestione del quadro sistemico e terapia antidolorifica ed antibiotica se necessaria. Approccio conservativo nei confronti dei fattori di rischio locali (lesioni cariose e insulti parodontali) |
Stadio 1 | Terapia antibatterica del cavo orale (clorexidina 0.12%) e controlli periodici trimestrali |
Stadio 2 | Terapia antibiotica e antiinfiammatoria sistemica, antibatterica del cavo orale, rimozione superficiale di osso necrotico al fine di alleviare la sofferenza dei tessuti molli |
Stadio 3 | Terapia antibiotica e antidolorifica sistemica, antisettica del cavo orale. Rimozione chirurgica di osso necrotico al fine di ridurre il dolore ed il rischio di infezione batterica |
CONCLUSIONI
L’osteonecrosi dei mascellari è una severa complicanza che può derivare dalla terapia farmacologica con bifosfonati, farmaci prescritti per il trattamento di patologie metaboliche e oncologiche a carico dell’apparato scheletrico. I fattori di rischio che possono contribuire alla comparsa della patologia sono molteplici e relativi sia a condizioni sistemiche che locali. Nel 70-80% dei casi l’osteonecrosi si manifesta con una mancata guarigione o con un ritardo nel processo di guarigione in seguito ad un’estrazione dentaria o a qualsiasi intervento di chirurgia orale. In un numero inferiore di casi si può avere l’insorgenza spontanea della patologia. Le fasi precoci sono prevalentemente asintomatiche e non presentano alterazioni cliniche e radiografiche. Col procedere della malattia il sintomo più comunemente riferito dai pazienti è quello dato da una sensazione sgradevole di intorpidimento e bruciore alla bocca. Una scrupolosa esplorazione della mucosa orale e della regione cutanea del terzo inferiore del volto supportata da indagine radiografica nei pazienti con anamnesi positiva per bifosfonati ci aiuta a riconoscere piccoli segni che possono sollevare il sospetto che vi sia un processo osteonecrotico in atto. Questa fase precede l’osteonecrosi vera e propria pertanto rappresenta un momento importante di diagnosi precoce e prevenzione della patologia. Il management odontoiatrico per i pazienti in attesa di intraprendere una terapia con bifosfonati somministrati per via endovenosa prevede un’accurata valutazione odontostomatologica e l’attuazione di un adeguato piano di trattamento conservativo, parodontale e protesico finalizzato all’eliminazione di possibili fattori di rischio locali predisponenti alla comparsa dell’osteonecrosi. Qualora siano necessari interventi chirurgici e le condizioni sistemiche del paziente lo permettano, la terapia con bifosfonati andrebbe rinviata fino al completamento del processo di guarigione ossea e mucosa. La gestione dei pazienti che giungono alla nostra osservazione in corso di terapia con bifosfonati IV è ispirata all’approccio conservativo ed è volta ad evitare in modo categorico ogni atto cruento che potrebbe fungere da stimolo per il rimodellamento osseo. La valutazione del rischio di osteonecrosi nel caso di pazienti in terapia con bifosfonati assunti per os è decisamente più basso (soprattutto se la terapia dura da meno di 3 anni e non vi sia l’utilizzo concomitante di farmaci corticosteroidei) e permette all’odontoiatra di gestire meglio la cura delle patologie orali e parodontali. La terapia di scelta nel caso dei pazienti che presentano segni e sintomi di osteonecrosi è, infine, mirata a tutelare la qualità di vita di questi soggetti attraverso il controllo del dolore e delle complicanze infettive e disfunzionali. Il protocollo medico prevede cicli di terapia antibiotica ad ampio spettro d’azione e antidolorifica. In caso di necessità si procede chirurgicamente con intervento di rimozione conservativa dell’osso necrotico. In conclusione, si ritiene che, sebbene molti quesiti relativi alla patogenesi, all’epidemiologia, alla suscettibilità individuale, ecc.. rimangano a tutt’ oggi irrisolti, una stretta collaborazione tra odontoiatra, medico generico, oncologo e ortopedico possa realizzare i presupposti per poter operare una valida prevenzione e cura stadio-specifica dell’osteonecrosi delle ossa mascellari associata all’uso di bifosfonati.
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S.Amato*,M.Mazzullo*,G.Compagno*,M.Milioto*
*U.O.Dermatologia MTS,ARNAS Osp.Civico,Pa
La malattia celiaca è un’enteropatia cronica caratterizzata da atrofia dei villi intestinali derivante da una condizione d’intolleranza permanente al glutine. La forma “classica” insorge generalmente tra il III ed il IV trimestre di vita ed è caratterizzata dalla prevalenza dei sintomi intestinali: diarrea cronica, arresto della crescita, pallore, vomito, distensione addominale ed irritabilità.
La forma cosiddetta ”atipica”, invece, insorge in età adulta ed è caratterizzata da un più frequente
interessamento delle sedi extraintestinali con manifestazioni di tipo autoimmune (diabete insulinodipendente,
dermatite erpetiforme, displasia dello smalto dentario) o di ordine nutrizionale (anemia,
bassa statura). La malattia celiaca, inoltre, sembra potersi mantenere asintomatica per la gran
parte della vita in forma “silente”, spesso con grave stato di compromissione del soggetto
portatore. La patogenesi della malattia ancora non è del tutto chiara anche se la teoria più
accreditata attribuisce il danno intestinale alla componente cellulo-mediata.
La diagnosi si basa su:
Sintomi e segni clinici che fanno sospettare una malattia celiaca in età pediatrica sono:
L’espressione cutanea della Malattia Celiaca sinsu strictu è abbastanza limitata e consistente
prevalentemente in:
Altre manifestazioni: